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Palo di tortura o stauros

LA CROCE NON CRISTIANA, PADRI, CAPITOLO III

L’EVIDENZA DI ALTRI PADRI DELLA CHIESA

"Le opere che ci sono pervenute dai Padri della chiesa vissuti prima del tempo di Costantino sono racchiuse in oltre diecimila pagine stampate fitte; e la prima cosa che colpisce quelli che esaminano quella mole di letteratura con lo scopo di scoprire che cosa avessero pensato e scritto i cristiani dei primi tre secoli sull’esecuzione capitale di Gesù e sul simbolo della croce, è che essi hanno menzionato poco l’esecuzione capitale di Gesù, come pure questo tipo di strumento d’esecuzione capitale.

Un’altra cosa degna di attenzione è se i Padri scrivessero in greco e se usassero la parola stauros, o se scrivessero in latino e traducessero questa parola con crux, ma pare comunque che si riferissero ad un albero, che per di più era strettamente connesso all’albero proibito del giardino d’Eden, una figura allegorica di significato indubbiamente fallico che aveva la sua mitica controparte nell’albero delle Esperidi, nel quale il Dio-Sole Ercole, dopo avere ucciso il Serpente, colse le mele dorate dell’amore, delle quali una divenne il simbolo di Venere, la dea dell’amore. Non era questa la sola controparte, poiché pare che nell’antichità quasi ogni gruppo etnico credesse nel mito di un allegorico albero della conoscenza o della vita il cui frutto era l’amore. Gli antichi credevano che l’amore generasse la vita, e se non fosse stato per l’indulgenza mostrata alla passione sessuale, il genere umano si sarebbe estinto.

Iniziando ad esaminare i primi scritti cristiani in questione, leggiamo nel Vangelo di Niccodemo che, quando il sommo sacerdote interrogò certi uomini che Gesù aveva destato dai morti, questi fecero sui loro volti il segno dello stauros". Si presume che fosse il segno della croce; occorre dire che, se gli uomini risuscitati da Gesù avessero avuto familiarità col segno della croce, ne conseguirebbe che questo segno sarebbe dovuto esistere in epoca precristiana. Inoltre, lo stesso vangelo narra che a Satana sarebbero state dette le seguenti parole: "Tutti quelli che tu hai portato con te mediante l’Albero della Conoscenza, li hai persi a causa dell’Albero dello Stauros". In un altro passo leggiamo che "Il Re della Gloria stese la sua mano destra, si impadronì del nostro progenitore Adamo e lo risuscitò: quindi, rivolgendosi ai rimanenti, disse: "Venite con me e vedete: poiché molti sono morti a causa dell’Albero che egli ha toccato, io vi risuscito tutti mediante l’Albero dello Stauros". Alcuni vedono in questa peculiare affermazione un riferimento alla dottrina della reincarnazione.

Negli Atti e martirio del santo apostolo Andrea apprendiamo dal suo giustiziere: "Lo sollevai sullo stauros, ‘ma’ non troncai i suoi legami, avendo ricevuto l’ordine dal proconsole di lasciarlo soffrire appeso finché fosse divorato dai cani nella notte". Non c’è altro da dire se non che lo stauros usato non era altro che un semplice stauros.

Nell’Epistola di Barnaba troviamo vari riferimenti allo stauros mescolati a vari passi delle Scritture Ebraiche e citati, a sproposito, come riferimenti al rito iniziatico del battesimo, un rito, da notare, per ammissione generale di natura pagana piuttosto che di origine israelita e non privo di legami con l’adorazione del Dio-Sole praticata dai Persiani e da altri gruppi etnici non israeliti.

I riferimenti in questione cominciano con la domanda: "Chiediamoci ancora se il Signore si preoccupò di prefigurare l’Acqua e lo Stauros".

Dopodiché vogliamo esaminare la citazione del Salmo i. 3-6, che paragona l’uomo buono ad un albero piantato sulla riva di un fiume e che porta il suo proprio frutto nella sua stagione. "Prendiamo nota di come l’autore ha descritto subito sia l’Acqua che lo Stauros. Poiché queste parole significano che coloro che si immergono nell’Acqua riponendo fede nello Stauros" sono benedetti.

Questo ulteriore collegamento al rito iniziatico non mosaico del battesimo è seguito da una citazione di Ezechiele xlvii. 12, che parla di un fiume sulle cui rive crescono alberi i cui frutti fanno vivere per sempre coloro che se ne nutrono. A ciò si aggiunge la dichiarazione che quando Mosè stese le sue mani in una direzione non specificata per consentire alle sue forze militari di prevalere sui nemici, egli stese le mani assumendo la figura di uno stauros, come una prefigurazione profetica che Gesù "sarebbe stato l’Agente della vita".

Viene fatto un altro riferimento alla prefigurazione che il serpente di rame posto sul palo era di Gesù Cristo.

Nell’epistola d’Ignazio agli Efesini leggiamo che lo stauros del Cristo è in realtà una pietra d’inciampo per quelli che non credono.

La prova di Ireneo, che ebbe una conoscenza quasi diretta dell’attempato Policarpo come questi l’ebbe degli apostoli, verrà trattata in modo speciale nel prossimo capitolo in virtù della sua importanza testimoniale.

Giustino Martire, sostenendo che la figura della croce sia presente in tutta la natura, chiede a ognuno di considerare come nessuna cosa al mondo, che non abbia questa forma, possa essere amministrata o possedere una certezza. Poiché il mare non può essere attraversato a meno che il trofeo cruciforme della vela non stia fisso su una nave e la terra non può essere arata senza uno strumento di forma simile; né escavatrici né meccanismi possono funzionare senza strumenti di questa forma. E la forma umana differisce da quella degli animali irrazionali in nient’altro che mantenersi in una sua posizione eretta, stendere le mani e respirare dal naso che si sporge dal viso sotto la fronte e dal quale passa l’alito che dà la vita alla creatura; e in questo non si ravvisa altra forma se non quella della croce. E così si esprime il profeta: "L’alito dinanzi al nostro viso è il Signore Cristo". E il potere di questa forma è mostrato dai vostri stessi simboli su quelli che chiamate stendardi e trofei, coi quali fate le vostre processioni, usandoli come insegne del vostro potere e del vostro dominio".

In altro luogo Giustino Martire dichiara che Cristo "fu simboleggiato sia dall’Albero della Vita nel Paradiso che da quegli eventi che dovrebbero capitare a tutti i giusti. Mosè fu mandato con un bastone per compiere la redenzione del [suo] popolo; con quel bastone, alla testa del popolo, egli divise il mare. Mediante quel bastone egli vide l’acqua sgorgare dalla roccia; gettando un albero nelle acque amare di Mara, le rese dolci.

Mettendo dei bastoni negli abbeveratoi dell’acqua, Giacobbe fece in modo che le pecore di suo suocero concepissero…Il bastone di Aronne, quando fiorì, lo confermò Sommo Sacerdote. Isaia profetizzò che un ramoscello sarebbe spuntato dalla radice di Iesse, cioè il Cristo".

Più avanti, nella stessa opera, dove Giustino Martire fa riferimento alla dichiarazione contenuta nella Legge mosaica "Maledetto sia chiunque è appeso ad un palo", afferma che "Non era senza significato il fatto che Mosè restò con le sua braccia alzate mentre Aaronne e Hur gli sostenevano le mani, uno da una parte e l’altro dall’altra, così che le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole". Anche il Signore restò appeso sull’albero quasi fino al tramonto".

Tertulliano dice riguardo al Cristo: "Egli combatté l’ultimo nemico, la Morte, e mediante il trofeo della croce trionfò" e in altro passo dice che la Scrittura "Maledetto è chiunque sia appeso a un albero" è una predizione della sua morte".

Esiste anche un saggio di Tertulliano che inizia col discutere l’efficacia del "segno" come antidoto. Sembra esserci un riferimento al segno della croce, come viene fatto sulla fronte nel rito iniziatico non mosaico del battesimo, ma non vi viene fatta mai la rappresentazione di uno strumento di esecuzione capitale o di un simbolo cruciforme di legno o altro materiale.

In un’altra opera di Tertulliano troviamo l’espressione "In ogni azione della vita quotidiana facciamo il segno sulla fronte".

Il suo famoso riferimento al Dio-Sole Mitra si esprime così. "Il diavolo nei riti mistici dei suoi idoli compete perfino con le parti essenziali dei sacramenti divini. Egli, come Dio, battezza quelli che sono i suoi propri credenti e fedeli e promette la remissione dei peccati mediante il battesimo; se mi ricordo bene, Mitra segna i suoi soldati sulle loro fronti, celebra l’offerta del pane, introduce una rappresentazione della risurrezione e mette la corona al di sopra della spada".

Altrove Tertulliano scrive: "Se qualcuno di voi pensa che noi rendiamo superstiziosa adorazione alla croce, in quella adorazione questi partecipa con noi… Voi venerate vittorie, poiché la croce è al centro dei vostri trofei. Tutta la religione militare dei Romani è una venerazione delle insegne…Io lodo il vostro zelo perché non adorate croci spoglie e disadorne".

In un’altra opera di Tertulliano leggiamo "Per quanto riguarda colui che afferma che noi siamo il sacerdozio di una croce, lo considereremo come un correligionario… Ogni legno infisso per terra verticalmente è parte di una croce, e in effetti ne costituisce la parte preminente. Ma a noi è attribuita una croce intera… Tuttavia la verità è che la nostra religione è tutta una croce…Suppongo che vi vergognerete di venerare croci semplici e disadorne". Nelle istruzioni di Commodiano leggiamo: "La prima legge era nell’albero e altrettanto la seconda".

Cipriano contesta: "Mediante il segno della croce anche Amalec fu sconfitto da Mosè", e altrove dichiara che "Questo segno della croce significa salvezza per tutti coloro che sono segnati sulle loro fronti, secondo la Scrittura di Apocalisse, in cui essi sono raffigurati col suo nome [dell’Agnello Gesù Cristo] e il nome del Padre suo scritti sulle loro fronti" e "Coloro che osservano i suoi comandamenti saranno benedetti ed avranno potere sull’Albero della Vita".

Metodio ci dice che "Egli ha sconfitto, come è stato detto, i poteri che ci hanno assoggettati con la figura della croce, simboleggiando l’uomo che è stato oppresso come da un potere dispotico, per ottenere una libertà completa. Poiché la croce, se volete definirla così, è la conferma della vittoria".

Passando ad Origene, troviamo in una sua opera il notevole passo: "E’ possibile evitarlo se facciamo ciò che ha detto l’Apostolo ‘Mortificate le vostre membra che sono sulla terra’ e se noi portiamo sempre nei nostri corpi la morte di Cristo. Poiché è certo che dove si porta con sé la morte di Cristo, il peccato non può dominare. Poiché il potere dello stauros di Cristo è così grande che, se la sua morte fosse tenuta costantemente davanti agli occhi della propria mente, nessuna concupiscenza, nessuna sensualità, né passione naturale, né desiderio invidioso avrebbero alcun sopravvento".

Se questo riferimento allo stauros di Cristo sia o non sia inerente alla figura della croce, è tuttavia discutibile.

Questa è l’evidenza inerente alla croce, se considerata un segno materiale o immateriale, sulla base degli scritti dei cristiani vissuti fra il tempo degli apostoli e il tempo di Costantino, e ovviamente diversa dalle evidenze presentate dall’ Ottavio di Minucio Felice, che sarà trattato nell’ultimo capitolo, e dagli scritti di Ireneo, che saranno trattati nel prossimo capitolo.

Fra le rimarchevoli caratteristiche dell’evidenza in questione spicca in modo notevole la piccolezza del suo volume.

Tuttavia, questo è soltanto un fattore negativo; e ciò che si dovrebbe tenere bene a mente è che l’evidenza nel suo insieme porta alla conclusione che i cristiani del II e III secolo facevano uso del segno e veneravano la figura della croce, senza che ricordasse loro, come ammette Dan Farrar, "solamente o anche principalmente" la morte di Gesù e perciò la croce era ben altro che una rappresentazione dello strumento di esecuzione capitale sul quale Gesù morì".